Mancano 2 mesi… Allenarsi? Ecco come!

La Ride Riccione Week si avvicina a grandi passi, ogni giorno l’appuntamento è più vicino e ogni giorno viene vissuto con grandi speranze e un occhio più che interessato all’andamento della situazione sanitaria in Italia e fuori dai nostri confini perché tutti ci auguriamo che l’inizio di giugno coincida con una ripresa delle attività e un passo decisivo verso il ritorno alla normalità. La Ride Riccione Week può essere testimonial di questo ritorno, con il suo caleidoscopio di proposte organizzative che culmineranno con la Granfondo di domenica 6 giugno.

Ma affrontare una Granfondo è qualcosa che non va preso alla leggera: è un impegno lungo, faticoso, affascinante al contempo, esattamente come ogni sport di resistenza, una conquista difficile e lenta, ma che alla fine regala una soddisfazione immensa. Una Granfondo però non inizia dallo start: il cammino di avvicinamento parte molto prima, con le settimane precedenti dedicate alla preparazione fisica ma anche psicologica. Questo viaggio abbiamo deciso di affrontarlo insieme a una struttura che ha fatto della competenza il suo credo, il centro Fisioradi di Pesaro (www.fisioradi.it), una sorta di Virgilio che ci accompagnerà nel cammino verso il grande “rendez vous” del 6 giugno e si sa, molto spesso non è solo la destinazione che ci resterà nella memoria, ma anche il viaggio per raggiungerla…

La storia del Poliambulatorio e centro di riabilitazione Fisioradi è iniziata agli albori del secolo, quando Maurizio Radi, fisioterapista, osteopata, chiropratico e chinesiologo, intuì che era necessario dare al ciclista come allo sportivo in genere una struttura capace di seguirlo a 360°, in modo da permettere a ognuno di vincere la difficile battaglia contro il dolore e aiutarlo nella ripresa da qualsiasi trauma. Il centro Fisioradi è andato trasformandosi nel tempo, ampliandosi fino a ospitare oltre 40 tra varie personalità della scienza, della medicina e della preparazione sportiva, uno staff composito e ampio in grado di fornire risposte a tutte le esigenze. Negli ultimi tempi, proprio in coincidenza con le difficoltà che anche l’attività ciclistica amatoriale ha affrontato nel periodo della convivenza con il virus, Fisioradi ha lanciato un nuovo programma dedicato alla “Scienza e salute del ciclista”, articolato su un metodo esclusivo di allenamento, valutazione, alimentazione e trattamento costruito su misura per ognuno con servizi specifici: si parte dalla biomeccanica e dal giusto posizionamento in bici per proseguire con tabelle specifiche di allenamento, il necessario supporto di un nutrizionista per un’alimentazione mirata agli obiettivi e l’affiancamento alle uscite dell’attività in palestra tramite il sempre più diffuso indoor cycling.

L’attività da granfondista, sia che venga affrontata con aspirazioni agonistiche, sia per semplice divertimento e passione cicloturistica, è qualcosa che merita la massima attenzione. La stessa cura che si ha nella scelta della bici e degli accessori bisogna prestarla anche a se stessi, alla propria preparazione, alla cura del proprio fisico per metterlo nelle migliori condizioni per ogni impegno. Di questo e di altro abbiamo parlato con Maurizio Radi, titolare della grande struttura di Fisioradi a Pesaro che ha ormai un prestigio che ne ha fatto un riferimento assoluto anche nel mondo dei professionisti.

Quanto è importante per un granfondista conoscersi, ossia applicare su di sé concetti come la postura, la valutazione biomeccanica, gli studi sulla potenza media e massima…

“Probabilmente è anche più importante che per un professionista, perché quest’ultimo ha un’esperienza maturata negli anni, sin da bambino. Molti granfondisti invece iniziano a pedalare in maniera seria in età adulta, quando il fisico è già formato, vengono da altri sport che lavorano sul fisico in maniera diversa”.

Dividiamo i granfondisti in due categorie, quelli che guardano alla classifica e quelli che partecipano per il puro gusto di pedalare: è consigliabile anche a questi ultimi una maggiore conoscenza di se stessi?

“Sicuramente, perché il cicloturista che va alla Granfondo lo fa per godersi la pedalata, per ammirare il paesaggio, ma questo non deve mettere a rischio la sua quotidianità: se torna a casa e non riesce a sedersi o a salire le scale, se va a letto pieno di dolori, allora si perde il gusto dell’attività ciclistica. Al di là della performance, chiunque va in bici lo fa per star bene, ma è vero anche l’inverso, bisogna star bene per andare in bici…”

Quando va fatta un’analisi completa da parte di un granfondista?

“Si deve partire da zero, affrontando prima ancora di mettersi a pedalare un serio lavoro posturale per equilibrare le catene muscolari e l’elasticità. Pian piano sta diffondendosi anche nel mondo amatoriale il concetto che si deve cominciare a secco, effettuando un lavoro biomeccanico sul proprio fisico. Faccio sempre un esempio: ci possono essere due corridori della stessa altezza, ma uno è scalatore e l’altro velocista. Avranno quindi strutture fisiche diverse, a partire dalla stessa lunghezza delle ossa quindi va trovata la miglior postura possibile, anche perché ormai non ci sono più bici su misura, si adatta al proprio fisico in base a posizioni, lunghezze, ecc. Tutto questo serve per ridurre al minimo i problemi”.

In base alla vostra esperienza, quali sono le principali patologie che colpiscono un granfondista?

“Un’errata posizione in bici porta mal di schiena e mal di collo, anche perché bisogna considerare che la posizione stessa del corridore sottopone il fisico a curve innaturali alle quali il corpo si deve adattare. Poi ci sono le tendiniti, in particolare quelle al ginocchio e al tendine d’achille, assolutamente da prevenire. Tutto ciò può essere fatto avendo particolare cura della postura e di ogni particolare: una volta ad esempio si adattavano le tacchette in base al numero del piede, ora sappiamo invece che esse devono essere posizionate in base al movimento della pedalata, a dove e quando il piede è sottoposto a maggior carico. Sono particolari estremamente importanti e da non sottovalutare”.

C’è da parte dei granfondisti quella stessa “fretta” nel tornare in sella che hanno i professionisti?

“Sì, ma questo rientra nella psicologia dello sportivo, che vuole star bene per riprendere quanto prima la sua attività. Il ciclista per certi versi è avvantaggiato: quasi tutti gli sportivi che subiscono un infortunio, nel loro cammino di ripresa partono quasi sempre dalla cyclette per riprendere tono muscolare e rimettere in movimento la struttura fisica. Il ciclista è abituato alla fatica ed è quindi più motivato a riprendere l’attività, in questo si può identificare quella fretta, che naturalmente va saputa gestire”.

In tempi di pandemia molti, in presenza di patologie o infortuni, preferiscono evitare contatti con medici e strutture per timore di contagi: quali sono i rischi a cui si va incontro e che cosa ti senti di dire per incoraggiarli ad affrontare la situazione?

“Nel periodo della pandemia, soprattutto nei due mesi nei quali siamo stati tutti a casa, i ciclisti erano avvantaggiati, perché quasi tutti si sono dotati di modelli da spinning o rulli per pedalare in casa. Io ad esempio avevo iniziato quasi per gioco lezioni di indoor cycling online, mi sono ritrovato ben presto a pedalare con più di 80 appassionati collegati via computer. Poi in bici si può andare anche da soli, evitando gli assembramenti. Allargando il concetto, non bisogna mai dimenticare che l’attività sportiva favorisce il rinforzo del sistema immunitario, aumenta le difese dell’organismo, cosa fondamentale di fronte a un’infezione. Poi, per quanto concerne le paure emerse da questa situazione che stiamo vivendo, posso dire che nella nostra struttura, appena abbiamo potuto riaprire c’è stato un incremento dell’attività rispetto a prima, tutto nella massima sicurezza e igiene: quando abbiamo riaperto a tutti fornivamo mascherine e guanti, procedendo di continuo alle necessarie sanificazioni di ogni ambiente e strumento. Chi viene deve sentirsi sicuro e possiamo garantirglielo”.

Iniziare oggi la preparazione si può?

Due mesi dalla Ride Riccione. Un tempo sufficiente per prendere in considerazione l’ipotesi di partecipare per chi è un habitué delle Granfondo sicuramente sì, per chi è sufficientemente allenato anche all’inizio di questa primavera così complicata e priva di quasi tutte le prove agonistiche. Ma per chi è rimasto fermo, oppure vuole sperimentarsi? La cosa è sicuramente fattibile, ma con attenzione e cognizione di causa, affidandosi a pareri esperti come quello di Federico Scotti, preparatore presso Fisioradi al quale abbiamo chiesto qualche consiglio.

“Chi parte da zero dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di affrontare il tracciato medio, perché la Ride Riccione è una Granfondo ostica, con il suo chilometraggio e il suo dislivello. L’obiettivo deve essere acquistare una sufficiente resistenza, lavorando nei weekend come solitamente fanno gli amatori, uscendo al sabato e alla domenica ma se fosse possibile sarebbe bene abbinare anche un paio di uscite infrasettimanali, per aiutare il fisico ad abituarsi a uno sforzo così prolungato. L’optimum sarebbe arrivare a due settimane dalla gara con sufficiente resistenza, ma prima di mettersi all’opera sarebbe bene affrontare un test”

Quale?

“Bisogna sottoporsi a un test sulla soglia anaerobica, per estrapolare le fasi di allenamento in base a battiti e watt. In quel modo si potranno fare allenamenti mirati, lavorando alcune volte sotto soglia e altre sopra, ma per farlo bisogna conoscere il proprio limite”.

La Ride Riccione è una Granfondo su 147 km per 3.370 metri di dislivello: su che aspetti bisogna quindi impostare la preparazione per affrontarla in tranquillità?

“Può sembrare paradossale, ma conta più il dislivello: quando sei in gruppo e in pianura, vieni spesso portato, la spesa energetica è minima, in salita non è così. Avendo poco tempo a disposizione per allenarsi è da privilegiare il lavoro sulle salite, magari 3 ore in luogo delle uscite da 5-6 ore, ma valutando dislivelli di almeno 2.000 metri. A queste però vanno abbinate uscite infrasettimanali di un paio d’ore, più in agilità”.

Siamo a inizio giugno, quanto può influire la temperatura sulla prestazione e come abituarsi in queste settimane di lento cambiamento del clima?

“Influisce molto se non ci si idrata sufficientemente. Io consiglio sempre di consumare una borraccia d’acqua già prima di partire e poi idratarsi con acqua e sali in corsa ma non aspettando di sentire la sete, perché per allora starai già iniziando a disidratarti, invece bere 150 millilitri ogni 20-25 minuti è l’ideale. Un’altra cosa consigliabile è provare a fare colazione 3 ore prima dell’uscita, esattamente come sarà in gara e pensare anche alle uscite di allenamento, ad affrontare le salite nell’orario pressappoco quando saranno affrontate in gara, per abituare il fisico allo sforzo nella maniera migliore e nelle condizioni climatiche più simili”.

Come alimentarsi in gara, soprattutto considerando le limitazioni attuali che influiscono fortemente sui ristori in gara praticamente solo liquidi?

“Bisogna portarsi dietro barrette energetiche a base di carboidrati e non di proteine che in questo caso non servono, consumandone una ogni 45 minuti di gara. Bisogna evitare ogni crisi di fame, perché se arriva si rischia di non arrivare al traguardo”.

Uno sforzo simile, quanto tempo necessita da parte del fisico per essere digerito e che cosa è consigliabile fare nelle giornate immediatamente successive per smaltire la fatica?

“Per chi è poco allenato serve una settimana buona, per questo dico che è meglio limitarsi al percorso medio, in quel modo si potranno ridurre gli effetti nei giorni successivi e smaltire prima lo sforzo. Nei giorni successivi si possono effettuare sgambatine su tracciati senza grossi dislivelli, andando di agilità oppure facendo uscite di fondo lento, abbinandole se possibile a qualche massaggio. A quel punto in poco tempo il fisico avrà assorbito lo sforzo”.