Carpegna e Cippo Pantani: le icone della Ride

“Marco era più giovane di me, io stavo per smettere, ma è capitato spesso di allenarsi insieme sul Carpegna. Adorava partire per ultimo, per lui il massimo era riprenderci, salutarci e aspettarci al Cippo”.

Parole del CT azzurro Davide Cassani, a ricordo di un grande campione che ha legato il suo nome al Monte Carpegna, che per gli appassionati è ormai il Cippo Pantani. Un’asperità breve, ma chi l’ha affrontata sa quanto incide sulle gambe soprattutto se non si è allenati, ma superarla dà sempre un qualcosa di particolare a livello psicologico, è una vittoria personale tutta da gustare.

Il Monte Carpegna è uno dei cardini della Ride Riccione, la Granfondo che concluderà la settimana romagnola dedicata alle due ruote. C’è però da scommettere che tanti appassionati, nel corso dei cinque giorni dedicati alla Ride Riccione Week, non perderanno occasione per una scappatina sul Monte, per affrontarlo in tranquillità alla ricerca dei suoi segreti o anche solamente per assaporarne profumi e colori d’inizio giugno. Ne vale assolutamente la pena…

Il Monte Carpegna non poteva certo mancare dalla Ride Riccione, troppo il suo prestigio non solo nelle Marche, ma un po’ in tutta la zona adriatica italiana essendo uno dei simboli delle montagne appenniniche. Gianfranco Sanchi, che ha disegnato il percorso della Granfondo, ci teneva particolarmente alla sua presenza anche per squisite ragioni tecniche.

“Il percorso della Ride Riccione va a toccare tutti i luoghi dell’eccellenza del territorio e il Cippo Pantani è sicuramente fra questi. E’ il simbolo del ciclismo, quasi irrinunciabile tappa del Giro, non poteva non essere parte integrante della manifestazione, sia per la sua importanza agonistica che per i panorami che sa garantire su tutto il Parco Simone e Simoncello”.

In che posizione è la scalata del Carpegna nel disegno del percorso generale?

“I corridori se lo troveranno di fronte approssimativamente a metà gara, dopo la prima salita del Monte Giardino si ridiscende nella Valconca e poi si affronta il Cippo. Alla sua conclusione (il Carpegna è parte integrante del solo percorso lungo) si affronterà l’ultima ascesa verso Soanne. E’ una salita molto impegnativa, che sicuramente peserà sull’evoluzione agonistica della corsa”.

La scalata del Monte Carpegna avrà una classifica propria?

“Certamente, come anche le altre due: verranno cronometrati tutti i passaggi e si assegnerà un premio speciale a chi riuscirà a completare la salita del Carpegna nel minor tempo possibile. Inoltre abbiamo già pensato a rendere speciale lo scollinamento, con occasioni di spettacolo e divertimento proprio nella zona della conclusione, per dare ai concorrenti la giusta spinta per il resto della Granfondo”.

Nel quadro generale della Ride Riccione Week sono previste escursioni specifiche per il Carpegna?

“Non mancheranno occasioni per scoprire tante bellezze del nostro territorio, anche attraverso escursioni enogastronomiche e pedalate con il campione, poi naturalmente chi verrà a Riccione in quei giorni, oltre alle nostre tantissime proposte, avrà la possibilità di organizzarsi autonomamente anche per un’escursione sul Carpegna”.

UNA SALITA LEGATA AL CICLISMO

Non è che il Monte Carpegna è nato con Pantani, sia chiaro. Il suo influsso sul mondo del ciclismo ha radici ben più antiche, consone a una montagna che va affrontata con rispetto, la più settentrionale delle salite marchigiane. La si affronta con prudenza, sapendo quel che c’è dopo il primo tornante, dove si sale stretti nel bosco: è lì che Eddy Merckx, ad esempio, costruì le sue imprese al Giro del ‘73 e ‘74. Le installazioni sui muretti e qualche scritta sull’asfalto ancora visibile ti immergono nella storia delle due ruote.

Quando iniziano i tornanti, siamo nella arte più dura, con pendenze anche al 18%; al sesto si ammira un panorama eccezionale e non è male prendersi una piccola sosta. Anche perché qui oltre al cippo monumentale c’è un’area picnic, il rifugio della Forestale, un campeggio, una fontanella d’acqua, senza dimenticare il monumento dedicato al Pirata. La seconda parte è più facile ma anche più lunga, sempre chiusa al traffico.

Il terzo settore, da dopo la sbarra, quando si è superata la metà del dislivello, è chiamato “la fuga di Merckx” e la ragione è facile da comprendere, arrampicandosi in mezzo a una distesa di faggi, che porta agli ultimi due tornati e a una sterrata che introduce al valico, sormontato dalla gigantografia di Pantani e con la scritta “Questo è il cielo del Pirata”.

CONTI: “PANTANI? DECIDEVA AL MOMENTO COME AFFRONTARLO…”

Iniziamo dai numeri: 6 chilometri di lunghezza, l’inizio è a quota 740 metri e si arriva alla sommità a 1.367 metri per un dislivello di 740 metri totali, la pendenza media è del 10%. Sono numeri che Roberto Conti conosce a memoria. Per chi non lo ricordasse, il faentino è stato uno dei principali luogotenenti di Marco Pantani nel corso della sua carriera, ha corso da professionista dal 1986 al 2003 con due vittorie squillanti in carriera, la tappa dell’Alpe d’Huez al Tour de France 1994 e il Giro di Romagna nel 1999.

Parlando del Carpegna, Conti ha subito un ricordo ben focalizzato…

“La fatica boia che comporta la sua scalata… Spesso l’affrontavamo d’estate, con un caldo e un sole cocente. Io partivo da Gabicce, Pantani veniva da Cesenatico, ci si ritrovava a Rimini con Siboni e Fontanelli e si partiva. Quasi mai affrontavamo direttamente il Carpegna, prima si scalava il Monte San Marino che ha pendenze più dolci e ci consentiva di prendere il ritmo. A dir la verità comunque non c’era mai un giro prestabilito né un programma, decidevamo all’impronta”.

Perché Pantani era fissato con il Carpegna per i suoi allenamenti?

“Nel nostro territorio ci sono tante salite con diverse pendenze, quella del Carpegna è fra le più dure, è proprio per scalatori puri, l’ideale non solo per variare, ma proprio per mettersi alla prova. Lì capisci a che punto è la tua condizione fisica, non solo per lui, anche per noi era molto importante. Se andavi su col rapporto agile con le gambe che mulinavano, sapevi che eri nella forma giusta per le gare che arrivavano”.

Come l’affrontava Marco?

“Mai nello stesso modo: Marco non ha mai lavorato in base alle tabelle, si fidava delle sue sensazioni. A volte salivamo insieme fino alla sbarra, una sosta per bere e riempire le borracce, poi quando si ripartiva Marco decideva: alcune volte se ne andava e lo ritrovavi in cima, altre rimaneva al nostro passo, ma lo vedevi smanettare sul cambio, dal rapporto più duro a quello agile, proprio per vedere la sua condizione, altre volte ancora rimaneva con noi fin quasi alla fine poi accelerava come se fosse uno sprint finale. Erano tutti test”.

E alla fine?

“Era d’obbligo una sosta prima di ridiscendere, si scambiavano due chiacchiere, le impressioni su com’era andata”.

Ci sei più tornato?

“Qualche volta sì, anche la scorsa estate con degli amici che non avevano mai affrontato ed è sempre duro come allora…”.

Che cosa consigli ai granfondisti che l’affronteranno in gara il prossimo 6 giugno?

“Di essere cauti nei rimi 2-3 chilometri, il Carpegna è subito duro, uno si sente brillante e lo prende di petto, ma se finisci la benzina, poi arrivare alla fine è dura. Bisogna trovare subito il proprio passo, questo è l’importante”.